Il 14 luglio scorso è stato indetto lo sciopero degli attori americani. Da oltre due mesi, gli attori americani hanno sospeso ogni genere di mansione compresa quella di marketing dei film. Hanno bloccato i set e hanno evitato di rilasciare interviste e di sfilare sul red carpet.

Questo sciopero sta letteralmente bloccando il mondo del cinema mondiale. O almeno questo è quello che speravano gli scioperanti. Ma in realtà, così non è stato.

Nel mondo aziendale (e l’industria del cinema è una delle più profittevoli), quando non si raggiungono gli accordi, bisogna tenere presente una importante discriminante: chi sciopera, ha il potere di farlo? Spieghiamo meglio.

Quando ci poniamo davanti ad un bivio, come quello degli attori di Hollywood, dobbiamo chiederci se il nostro “posto” è sostituibile. Non parliamo di diritti dei lavoratori, di giustizia e di cose sacrosante che lasciamo ad altri contesti. Parliamo solo ed esclusivamente di marketing. Gli attori di Hollywood stanno scioperando, ma il cinema mondiale non si è fermato. Le piattaforme web non hanno perso iscritti, il Festival del Cinema di Venezia non ha subito perdite o rallentamenti. Che disagio hanno provocato quindi gli attori di Hollywood al “sistema”? Apparentemente nessuno. Chi sta perdendo introiti in questo sono solo i produttori americani.

I motivi dello sciopero riguardano, principalmente, settori che non stanno risentendo minimamente dello sciopero stesso. Il motivo è semplice: la crisi del settore e lo sviluppo delle piattaforme streaming hanno condotto ad un drastico cambiamento delle produzioni e delle modalità di lavoro. Per mezzo dello sciopero gli attori sollecitano gli Studios verso un aggiornamento adeguato dei loro contratti.

Una delle richieste più complesse è l’aumento dei cosiddetti residual, ovvero una percentuale dei guadagni derivanti dai ricavi dello streaming. A questo si aggiunge un incremento dei compensi, che si ricollegano direttamente alla discussione sull’assicurazione sanitaria e sulle pensioni. Inoltre, chiedono migliori condizioni di lavoro e una regolamentazione nella gestione dell’intelligenza artificiale.

In particolare, la protesta ha a che fare principalmente con le royalty: se, in passato, attori, sceneggiatori, registi continuavano a percepire un guadagno ogni volta che i film a cui avevano lavorato venivano riproposti in televisione, assicurandosi così un introito passivo anche a distanza di molti anni, oggi le piattaforme di streaming on-demand, come Netflix, Apple TV e Amazon Prime, hanno sostituito i canali di riproduzione standard comportando tagli netti sulle royalty percepite. Infine, gli scioperanti chiedono anche assicurazioni che il loro lavoro non verrà sostituito dall’intelligenza artificiale e che la loro immagine digitale non possa essere utilizzata senza il loro consenso.

Le campagne marketing di promozione di tutte le pellicole in uscita da luglio a data da destinarsi sono state interrotte, ogni tipologia di pubblicità e di compagna promozionale è stata sospesa. Questo perché il sindacato scioperante non ha trovato un accordo con gli Studios per salvaguardare la loro posizione contro l’avvento dell’intelligenza artificiale.

Ma, come spesso accade, si sta tralasciando un punto fondamentale. L’intelligenza artificiale non è un’entità mitologica creata dal nulla e ingestibile. Al contrario è un sistema informatico creato e gestito dall’uomo. Pertanto, come è stato creato, può essere gestito, regolamentato e impostato. Esattamente come tutto ciò che regola gli affari.